Nel dicembre 2019, Nina Jane Patel, ricercatrice nell’ambito delle tecnologie del Metaverso a New York, accede ad Horizon Words. Poco dopo, il suo avatar è oggetto di molestie, anche sessuali, da parte di avatar di altri utenti. La vittima riferisce di essere stata traumatizzata, perché le molestie le sono sembrate reali e l’esperienza vissuta non è dissimile da quella di una violenza fisica reale.
Nel dicembre 2022, un ventunenne di Detroit, fingendosi diciassettenne, adesca una ragazza di quattordici anni. Dopo averne carpito la fiducia, l’adescatore incontra la ragazza e l’approccia in modo aggressivo.
È notizia di poche settimane fa, che ha fatto il giro della Gran Bretagna e non solo, quella di una ragazza di sedici anni che ha subito un’aggressione sessuale all’interno del Metaverso, dove il suo avatar è stato accerchiato e molestato da altri avatar maschili.
Questi sono solo alcuni esempi di cd. “virtual crimes” (“crimini virtuali”), che sempre più spesso interessano il mondo, ormai assoggettato all’utilizzo costante di strumenti informatici.
Il Codice Penale italiano si è nel tempo strutturato per contrastare fenomeni criminali in ambito informatico (artt. 612-ter c.p. e ss.), ma non è pronto per la lotta ai crimini commessi nel Metaverso.
Violenza sessuale, adescamento di minori, pedopornografia, molestie, minacce, revenge porn, estorsione, bullismo, lesioni, percosse: sono solo alcuni dei reati che possono essere commessi nel mondo virtuale e che possono avere delle implicazioni psicologiche estremamente gravi, in grado di devastare l’esistenza della vittima come se fossero fatti realmente accaduti.
Da penalisti, non può sfuggire come il reato di violenza sessuale ex art. 609-bis c.p. presuppone una violenza fisica, in termini di contatto reale tra l’aggressore e la vittima, per poter essere giuridicamente sostenuto. Nel nostro ordinamento, infatti, vige il principio di materialità, il quale identifica un fatto costituente reato con una condotta (sia attiva che omissiva) realizzata da un individuo che si concretizzi e si manifesti all’esterno, non essendo ammessa la punizione del mero pensiero o intenzione, come insegna il brocardo nullum crimen sine actione. Dunque, non solo nessuno può subire una pena per i suoi pensieri, ma non è neppure ammesso punire qualcuno per un reato impossibile ex art. 49 c.p., commesso in mancanza di un corpo reale. Eppure, anche in mancanza di un contatto fisico (come accade nel Metaverso), la vittima potrebbe aver subito e può effettivamente lamentare un impatto emotivo e psicologico importante, che nulla ha di diverso rispetto al trauma psicologico derivante da una violenza fisica reale. Così potrebbe dirsi anche in altri reati che si basano sul contatto fisico quali, ad esempio, le lesioni ovvero le percosse.
In alcuni casi la giurisprudenza, basandosi sulle norme vigenti, ha in qualche modo “gestito” il tema del contatto fisico tra autore del reato e vittima nel momento in cui quest’ultima era stata costretta a compiere atti sessuali su se stessa, senza dunque interazione con il suo carnefice (cfr. Cass. pen., sez. III, 18/07/2012, n. 37076). Similmente, è stata ritenuta integrata la minaccia nel delitto di violenza sessuale dalla prospettazione di qualsiasi male che, in considerazione delle circostanze oggettive e soggettive del caso concreto, mostri la sua capacità di coazione nei confronti della vittima, che si trovi quindi a subire gli atti sessuali. Nel precedente di Cass. pen., sez. III, 26/03/2013, n. 19033, è stato condannato un uomo che aveva contattato via internet due minori infra-quattordicenni e le aveva costrette, dietro minacce, ad inviargli foto e video con atteggiamenti osceni; dal contenuto delle conversazioni, era emerso che l’uomo era a conoscenza di plurime informazioni circa la vita delle vittime e le aveva utilizzate per lasciar loro intendere che, nel caso non avessero assecondato le sue richieste, si sarebbe adoperato per far loro del male. Più recentemente, Cass. Pen., sez. III, 02/07/2020, n. 25266, richiamando la sentenza del 2013, ha riconosciuto il delitto di violenza sessuale anche quando manca il contatto fisico o quando le persone coinvolte siano fisicamente distanti.
La questione si annida proprio su come punire tali fatti, e, ad oggi, non è ancora stata risolta.
Certo è che una regolamentazione che sia nuova e specifica o che sia importata da quella della realtà fisica è necessaria, in quanto entrano in gioco i diritti fondamentali della persona.
Intendere il Metaverso come nuovo locus commissi delicti è un’idea così lontana dalla realtà? Innanzitutto, sul punto si pone non solo il problema dell’identificazione degli autori del reato, che risulta non sempre agevole; ma anche la difficoltà di identificare il Metaverso come luogo del commesso delitto, alla luce dell’art. 6 c.p. che riconosce quali delitti puniti dall’ordinamento italiano solo quelli commessi nel territorio dello Stato. A ciò si aggiungono le regole dettate dal legislatore italiano in tema di competenza territoriale ex art. 8 e ss. c.p.p.
In secondo luogo, non può ignorarsi la questione secondo cui, a rispondere di tali reati, non possono essere certamente gli avatar ma piuttosto le persone fisiche che li hanno commessi. Allora occorre interrogarsi sulla possibilità che il “proprietario” dell’avatar venga chiamato a rispondere della fattispecie criminosa commessa a danno di un altro soggetto virtuale. Senza considerare le problematiche legate al principio di colpevolezza: è realistico parlare di dolo o colpa in relazione ad un avatar? Certo è che nessuno penserebbe mai di contestare agli individui reali, proprietari dell’avatar, il delitto di omicidio se, in un video game, cagionassero la morte con il proprio personaggio, di un nemico virtuale. Tuttavia, altrettanto certo è che l’azione realizzata da un Avatar può essere oggetto di un rimprovero nei confronti del corrispondente soggetto fisico. Invero, prendendo spunto dalla disciplina della responsabilità penale ex D.Lgs. 231/01 con cui si è superato il concetto di personale responsabilità penale e si ammette che il rimprovero venga fatto nei confronti della Società e non solo del soggetto agente, si possono ritenere applicabili i medesimi principi all’Avatar quale soggetto virtuale in persona del corrispondente fisico.
In terzo luogo, è da evidenziare la questione dei reati che si perfezionano con la valutazione soggettiva della vittima: la medesima condotta può cagionare o meno l’evento e, dunque, integrare il reato ovvero il tentativo, a seconda di come la vittima contro la quale l’azione è diretta ne ha percezione. Quindi, seppur la condotta è neutra o inoffensiva per come viene intesa dall’agente stesso, ma viene percepita come lesiva dalla vittima, questa diventa reato. Si pensi ad esempio alle molestie verbali a sfondo sessuale (catcalling). Tutto ciò è uno spunto ulteriore per ampliare la portata normativa di alcuni precetti penali, soprattutto verificatisi nel Metaverso, riconoscendo alla persona offesa un ruolo essenziale nella qualificazione di un fatto come reato o meno.
In conclusione, si può affermare che la mancanza di una disciplina normativa espone gli utenti a non pochi rischi, soprattutto sul piano morale, ed è qui che si richiede un intervento normativo per disciplinare questi illeciti che possono provocare danni, anche rilevanti, alla vittima. Servirebbero perlomeno, da un lato, degli interventi di merito che imponessero l’istallazione di reti di controllo e sicurezza tali da disincentivare la commissione di tali reati, e dall’altro garantire l’identificazione degli utenti. Tale processo è stato iniziato con l’entrata in vigore, all’inizio del 2023, del Digital Service Package e del Digital Markets Act, adottati a livello europeo, che hanno posto le basi per una futura regolamentazione del Metaverso imponendo dei primi obblighi di comportamento alle piattaforme online di grandi dimensioni.
È però oramai tempo di fare un passo in avanti, cercando di evitare che la necessità di garantire tutela e sicurezza nel Metaverso porti ad assorbire, in maniera “artificiale”, in fattispecie di reato, anche condotte prive di una tangibile e attuale lesività, ovvero ad applicare impropriamente i principi che regolano il nostro ordinamento, quali, ad esempio, il principio di materialità, il criterio del cogitationis poenam nemo patitur, ovvero, più fra tutti, il principio di proporzionalità. Oltretutto, se il Metaverso mira ad essere una realtà interconnessa tra virtuale e reale, un mondo nel quale si può proiettare la propria persona fisica allora forse si presenta solo un falso problema perché le norme ci sono e sono quelle del nostro sistema giuridico. Si tratterebbe, in tal caso, solo di sensibilizzare gli operatori giuridici che ne dovranno garantire l’applicazione. In ogni caso, è fondamentale un intervento e questo sembra, oltretutto, un buon momento giacché l’Unione Europea si è attivata in ambito digitale redigendo, nel gennaio 2024, la bozza finale dell’AI Act, volto ad assicurare che i diritti e le libertà siano al centro dello sviluppo di questa tecnologia rivoluzionaria, garantendo un bilanciamento tra innovazione e protezione.