La Cassazione chiarisce la nozione penale di rifiuto di sostanze e materiali, un approfondimento a cura di Rebecca Maria Maroni
Con la sentenza n.11603 del 26 gennaio 2022 la Sezione III della Corte di Cassazione ha chiarito la nozione di “rifiuto” di sostanze e materiali ai sensi del D. Lgs. n. 152 del 2006, all’art. 183, comma 1, lett. a).
La pronuncia della Suprema Corte segue alla presentazione di un ricorso da parte dell’imputato condannato si in primo grado che in appello (in gergo: “doppia conforme”), in relazione al reato di cui al D. Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. b) e comma 2.
Al ricorrente, in qualità di legale rappresentante di una ditta individuale, veniva contestata la gestione di un’attività di autodemolizione senza alcuna autorizzazione, con deposito, presso la sede della società, di diversi veicoli a motore privi di parti interne, ossia in stato di abbandono ed in pessimo stato di conservazione, nonché il deposito di rifiuti speciali identificati come pericolosi, quali:
I motivi di ricorso per Cassazione proposti dal ricorrente si sostanziavano in quattro punti, il primo dei quali trattava il tema della sussistenza degli elementi oggettivi del reato contestato. Il difensore, infatti, sottolineava come ciò che era stato rinvenuto all’interno della sede dell’impresa non potesse considerarsi come “rifiuto”, bensì come sottoprodotto vendibile.
Nel dichiarare il ricorso inammissibile, la Suprema Corte richiama espressamente il D. Lgs. n. 152 del 2006, all’art. 183, comma 1, lett. a) il quale prevede che per rifiuto si debba intendere “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.
La Corte prosegue chiarendo come la qualità di “rifiuto” si acquisisca in base a due tipologie di elementi: uno positivo, derivante dal fatto che “si tratti di bene residuo di produzione di cui il detentore vuole disfarsi” e uno negativo, configurabile con la mancata accezione del rifiuto in qualità di sottoprodotto.
Sul punto viene fornito un ulteriore elemento di considerazione dato dal fatto che la qualità di “rifiuto” non viene meno neanche “in ragione di un accordo di cessione a terzi, né del valore economico dei beni stessi riconosciuto nel medesimo accordo”. Questo perché, nella valutazione circa la qualifica o meno di “rifiuto”, occorre far riferimento alla volontà del cedente di disfarsi del bene e non all’utilità che potrebbe trarne il cessionario.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione sottolinea come la qualifica operata dai giudici di merito nell’identificare gli oggetti rinvenuti come “rifiuti” sia avvenuta correttamente. Infatti, sulla base delle condizioni e delle modalità di custodia dei beni, veicoli semidistrutti e completamente inutilizzati in stato di abbandono e senza alcuna protezione, la maggior parte di questi non avrebbe potuto neanche essere oggetto di vendita e dunque qualificata come sottoprodotto.